L’iper connessione digitale è cresciuta a vista d’occhio negli ultimi vent’anni favorendo fenomeni positivi e negativi. Le possibilità offerte dal web sembrano e sono pressoché infinite, ma proprio la mancanza di senso del limite contribuisce a generare situazioni di asocialità piuttosto che di ‘socialità’. D’altronde è inutile illudersi, i ‘social’ ben poco hanno a che vedere con la vera socialità, a meno che l’utente non passi dal digitale alla sfera reale di sua iniziativa.
Tra i fenomeni più preoccupanti dovuti a questo eccesso di possibilità virtuali troviamo quello degli Hikikomori. Originario del Giappone, questo fenomeno è descritto come il ritiro sociale volontario e prolungato di individui prevalentemente giovani che “vivono” all’interno del web piuttosto che nella ‘cara e vecchia’ realtà.
Gli Hikokomori sono sempre più diffusi in Italia. Lo scorso 15 gennaio 2024 l’Istituto Superiore di Sanità ha riportato i risultati di una ricerca che ha identificato circa 66.000 hikikomori nel nostro Paese con incidenza leggermente superiore nella fascia 11–13 anni, ovvero quella della scuola secondaria di primo grado.
Sul sito hikikomori Italia viene operata la distinzione tra i così detti pre-Hikikomori e gli Hikikomori propriamente detti. I primi sono individui isolati da almeno sei mesi, ad accezione della scuola, mentre i secondi sono isolati da almeno sei mesi. In Italia, ribadisce il portale, è possibile ipotizzare che ci siano a oggi tra i 100mila e i 200mila casi di isolamento sociale volontario nel mondo.
Con Paola Bianchi, psicologa, psicoterapeuta e fondatrice del Centro di psicoterapia Liberamente di Ravenna affrontiamo il delicato tema degli Hikikomori e, più in particolare, del disagio giovanile.
L’INTERVISTA
Si parla molto di una crescita del disagio giovanile nel post-Covid. Le cose stanno davvero così? Si può parlare di un aumento dei fenomeni di disagio dopo la crisi Covid o si tratta di un fenomeno che viene da più lontano?
“Dunque, il 49,4 % dei giovani italiani tra i 18 e i 25 anni ha affermato di aver sofferto di ansia e depressione a causa dell’emergenza sanitaria. Questi dati sono emersi dal rapporto generazione post pandemia, una ricerca che è stata svolta in collaborazione con il Censis da parte del Consiglio Nazionale dei Giovani e dell’Agenzia Nazionale dei Giovani nel giugno del 2022.
Per quanto concerne i bambini, stando all’ultimo dato fornito da Unicef che risale al maggio 2024 si stima che in UE 11 milioni di individui con un’età pari o inferiore ai 19 anni soffrano di un problema di salute mentale. I dati sono abbastanza incontrovertibili ma le cause non si possono ricondurre esclusivamente alla pandemia”.
Dove possiamo cercare le cause più profonde?
“Ritengo che il processo di trasformazione della società e i cambiamenti che si sono generati nel rapporto tra le nuove e le vecchie generazioni siano una causa piuttosto evidente. Lo spartiacque possiamo farlo risalire all’ epoca del cosiddetto edonismo reaganiano di D’Agostiniana memoria negli anni Ottanta fino ad arrivare all’attuale società narcisistica e post-narcisistica
Nell’epoca moderna al centro ci sono l’individuo e la ricerca del proprio piacere, del successo e una buona dose di arrivismo. Precedentemente invece l’attenzione era molto più rivolta all’impianto sociale e al tessuto collettivo.Da un’epoca fortemente incentrata su un’ideologia del “puoi tutto” e incentrata quindi sull’individuo e le sue potenzialità ci ritroviamo a scoprirci forse di “potere ben poco”. Il lavoro sta attraversando una crisi epocale. Il clima ci sta preparando il conto. Le guerre proliferano. Le giovani generazioni sembrano brancolare nel buio fra ansia da prestazione e vuoto cosmico. Tanto che finiscono per identificarsi nella loro sofferenza o nei loro sintomi prigionieri di diagnosi e cure impoverite di senso.
La pandemia Covid-19 è stata una grande occasione persa da un certo punto di vista?
“Tutti ci auguriamo che la pandemia sia conclusa, ma per quanto concerne il funzionamento delle dinamiche psico-sociali il risultato è che la pandemia “l’abbiamo” rimossa invece che averla metabolizzata. Qualcuno addirittura è arrivato a negarla. Una volta ‘sconfitto il nemico” “siamo” dunque ritornati alla vita di prima e il periodo di lockdown è stato vissuto come un tasto pausa premuto. Siamo subito tornati ai nostri ritmi frenetici, al consumismo sfrenato e alla ricerca del godimento. Sembra che la dissociazione sia uno dei meccanismi emergenti di funzionamento della nostra società. Lo psichiatra Putnam, nell’86, fornì una definizione molto interessante di dissociazione: la via di fuga, quando non c’è nessun’altra via di fuga. E’ ciò che succede fondamentalmente con il meccanismo di difesa che ho poc’anzi descritto. Ci troviamo nell’impossibilità di mettere in connessione e far comunicare i diversi significati dell’esistenza perché troppo angoscianti.
Come ci spiega bene Byung-chul Han nella sua “Società senza dolore” ‘siamo’ terrorizzati dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva e diffusa che siamo in grado persino di rinunciare alla libertà pur di non dover affrontare questo problema”.
Nella crisi e nel disagio dei giovani quanto pesa la crisi delle cosiddette agenzie educative – scuola, famiglia – e quanto l’influenza dei social il cui linguaggio aggressivo e violento e i cui modelli sembrano essersi imposti ai giovani?
“Oggigiorno ci troviamo di fronte a dei genitori che non sono riusciti a fare i conti con le proprie fragilità. Anziché creare e costruire un nuovo modello identitario di genitori ci ritroviamo ad avere un assetto di legame familiare di tipo affettivo-relazionale dove l’imperativo categorico non è più quello basato sull’obbedienza della famiglia normativa. Prima il dovere poi il piacere, si diceva. Oggi assistiamo a un ricatto più subdolo e pervasivo che è quello dei genitori che vogliono proteggere i figli attraverso il motto “lo faccio per il tuo bene” cosicché non li aiutano certo a spiccare il volo ma altresì a dipingere la famiglia come il luogo più sicuro al mondo. Pensiamo ai genitori che nel rapporto con i figli preferiscono essere loro amici piuttosto che assumersi delle responsabilità. I pargoli a questo punto non vengono guidati con una mano sicura, ma vengono assecondati e giustificati. In alcuni casi addirittura difesi nell’indifendibile. A scuola ci troviamo dei genitori che quasi si sostituiscono alla funzione educativa e al ruolo degli insegnanti. Come sostiene anche Stefania Andreoli nel suo “Perfetti o felici” i genitori vanno alla ricerca del bisogno di essere amati dai figli e questo li rende necessariamente incapaci di sopportare il conflitto che, soprattutto nell’adolescenza e nella giovane età, dovrebbe animare il rapporto e l’unica strada che gli rimane per trasgredire è ammalarsi”
L’errore o il fallimento non vengono più visti anche come un’occasione per migliorare?
“La società performante basata sul compito, sui risultati e sulla scalata sociale ha creato delle falle considerevoli. In alcuni casi le madri e i padri arrivano ad essere sudditi dei figli saturando ogni loro bisogno. Anche nella scuola fondamentalmente, che è il luogo dove i giovani trascorrono la maggior parte del tempo e dove dovrebbero imparare a relazionarsi con gli altri e “lo stare al mondo” è diventata un contenitore dove viene replicato il funzionamento imperante della società. La scuola richiede ai giovani di essere performanti e ottenere ottimi voti dove sbagliare viene segnato in rosso e interpretato come segno negativo e non un’opportunità per crescere o sperimentare un limite e migliorare alcune criticità. Non possiamo stupirci quindi che l’ansia e il panico siano i sintomi prevalenti della sofferenza di ragazzi”.
In base alla sua esperienza sul campo, che cosa chiedono i giovani? Cosa manca loro? Cosa bisogna fare e dare loro?
“Una condizione che mi ha sorpreso in particolare dopo la pandemia è che nel mio lavoro la domanda di cura dei giovani è chiesta dai genitori. Anche se il ragazzo è più che maggiorenne o potrebbe essere definito un giovane adulto perché magari studia o lavora. Da questo modus operandi si evince fondamentalmente il bisogno del genitore di curare e di risolvere il problema. Ma la sofferenza psichica a volte richiede tempi e percorsi non facilmente prevedibili che hanno bisogno di largo respiro. Spesso i genitori, soprattutto quando si allungano le attese, manifestano insofferenza perché la guarigione non avviene. Ma la loro è una idealizzazione della guarigione, ben lontana dalla realtà.”
Intende che molti genitori formulano ai propri figli domande del tipo: “Ma cosa vi dite in quella stanza? Ma a cosa ti serve se non guarisci”?
“Sì anche. In qualche modo potrebbe sembrare una forma di terapia per procura! Inviano i figli e cercano di carpire cosa accade in quelle stanza delle parole. Noi psicologi prendiamo in carico la sofferenza e diamo spazio, interroghiamo. Spesso i ragazzi sono convinti di non poter parlare di simili argomenti ai genitori, perché non sarebbero o non sono in grado di capirli ma soprattutto di tollerare e sostenere la loro sofferenza.
Si è ribaltato completamente il ruolo.
I giovani prima di tutto chiedono di essere ascoltati. Un ascolto vivo, un ascolto vero, un ascolto interessato e curioso. E nell’adolescenza, che è il punto più alto della costruzione della propria identità la domanda fondante è “chi sei?” La risposta non può che essere un percorso, una strada da percorrere lungo il corso della vita in un lavoro di continua ricerca. Massimo Ammaniti, un grande psichiatra/neuropsichiatra infantile e psicanalista afferma che in una situazione di incertezza e di dubbio come può essere la fase dell’adolescenza uno psicoterapeuta deve coltivare quella che Bion chiamava ‘capacità negativa’. Ovvero sospendere giudizi e interventi, facendo emergere il conosciuto ancora non pensato da ciascuno.
A me sembra invece che gli stiamo chiedendo di sapere già tutto.
I genitori rischiano di non lasciare spazio di esprimersi ai figli?
“Avere la pretesa di sapere cosa serve ai propri figli è un errore comune. Si finisce con il soffocarli. Se la sofferenza non viene affrontata e non viene ascoltata, o addirittura non vista, l’effetto ‘boomerang’ è accentuato. Internet fondamentalmente è uno spazio e non è utile demonizzarlo. Anzi per alcuni è l’unico contatto con il mondo là fuori. In questo spazio addirittura molti ragazzi si rifugiano proprio per alleviare il disagio e la sofferenza del sentirsi soli in mezzo agli altri”
Pensa sia utile togliere gli smartphone agli studenti nelle scuole?
“Mi sembrano risposte da pseudo adulti. Il ‘detox’ dalla tecnologia ottiene spesso l’effetto di banalizzare gli strumenti di cui sono dotati i giovani. I video su Tik Tok, piuttosto che YouTube andrebbero invece affrontati chiedendo ai ragazzi perché li fanno e cosa rappresentano. In internet si trovano spazi che in qualche modo possono permettere la ricerca di una relazione con l’altro. L’altro inteso anche come “l’altro da sé”, non conosciuto quindi ma da esplorare e integrare in un riconoscimento reciproco delle parti.
Non è semplice comprendere cosa manchi ai giovani d’oggi…
“A loro manca una posizione diversa che noi adulti dovrebbero assumere. Stare al loro fianco, o meglio ancora alle loro spalle e lasciarli andare. Siamo in grado? I genitori dovrebbero a volte fare molto meno e fidarsi maggiormente dei loro figli. È importante che i figli sentano di essere voluti bene ma che stare bene, trovare il proprio posto nel mondo, crescere, individuarsi non è un approdo ma un percorso in continuo divenire e che sta a loro scoprirlo non a noi.
Viene concesso troppo poco tempo ai giovani? La sensazione è che molti di loro vengano bruciati dal sistema imperante…
“Donald Winnicott, psicanalista e pediatra inglese, ci ricorda che occorre aspettare che il vento si alzi e gli adolescenti riprendano la propria rotta. La maggior parte delle persone invece sono spinte dal tutto e subito fondamentalmente. Ammaniti in un suo recente libro ribadisce che bisogna saper aspettare i giovani. Anche dopo aver fatto ripetute esperienze è importante che i ragazzi si rimettano in moto e trovino una propria direzione. Non è facile saper attendere e avere fiducia. Concludendo occorre un maggiore sguardo sull’essere e meno frenesia. Il rischio, altrimenti, è quello di costruire dei contenitori vuoti. I ragazzi oggigiorno cercano la riapertura di un dialogo rispetto alla ricerca del senso e del significato di quello che facciamo e di quello che siamo”.
Aggiungo un testo di una canzone che se vogliamo ben rappresenta a mio avviso il senso di quello che ci siamo detti finora. Buon ascolto
https://www.youtube.com/watch?v=rl8dvMXq_lQ
Sto per fare un sogno di Mario Venuti (1998)
Non svegliarmi ancora un momento
Sto per fare un sogno fatto mai
Non svegliarmi c’è ancora del tempo
Per rifare un sogno che scordai
Forse mi trovavo nel rosso di qualche passione di qualche canzone
Preso dall’ebbrezza di andare con l’animo acceso
Da qualche ragione
Una illusione o chissà un lampo
Che a volte ti prende ma poi niente ti da
Tu lascia che cresca con calma il seme del mio desiderio
Voglio conoscere la parte più vera di me
Forse riposavo sul verde di una nuova conquista
Una terra mai vista pago di aver preso dal mondo
Quel bene sperato il frutto più dolce
Una certezza o chissà
Un lampo che a volte ti prende
E poi tutto ti da
Non svegliarmi ancora un momento
Perché quello che ho visto
È tutto vero è tutto vero
Ancora un momento perché quello che ho visto
È tutto vero è tutto vero
bibliografia
https://consiglionazionalegiovani.it/wp-content/uploads/2022/10/Giovani-COVID- report_04.09.22.pdf
.https://www.unicef.org/eu/stories/state-children-european-union-2024
Frank W. Putnam “La dissociazione nei bambini e negli adolescenti. Una prospettiva evolutiva”- Astrolabio(2005)
Byung-Chul Han “La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”-Einaudi (2021)
Massimo Ammaniti “I paradossi degli adolescenti”.- Cortina editore (2024) Matteo Lancini “Sii te stesso a modo mio”. -Cortina editore (2023)
Stefania Andreoli “Perfetti o felici. Diventare adulti in un’epoca di smarrimento”.-Rizzoli editore (2023)
Laura Pigozzi “Troppa famiglia fa male.Come la dipendenza materna crea adulti bambini (e pessimi cittadini)”-Rizzoli editore (2020)
D.Winnicot “Colloqui con i genitori”.Cortina editore (1996)
Neri C. (2009), La capacità negativa dello psicoterapeuta come sostegno al pensiero di gruppo, Rivista Italiana Di Gruppoanalisi, vol. 22; p. 159-175, ISSN: 1721-6664
Bion W. “ Attenzione ed Interpretazione” trad it. Armando, Roma, (1973)