Che cosa è andato storto nella campagna vaccinale per il Covid?
Da coesione a ostilità. Potrebbe essere riassunto così il cambiamento emotivo vissuto in questi anni di pandemia. Nel 2020 ci siamo sentiti uniti, vicini, simili: tutti “nella stessa barca”, chiusi in casa, spaesati nell’attesa di capire cosa stesse succedendo. Questa omogeneità si è gradualmente frammentata, trasformandosi nell’attuale spaccatura tra chi ha scelto di aderire alle indicazioni mediche riguardo le campagne vaccinali e chi, invece, si dichiara totalmente contrario per motivi morali, politici, di stile di vita o, in alcuni casi, sostenendo idee complottiste e negazioniste. Come mai, pur essendoci una maggioranza di scienziati a livello mondiale con una mole numerosissima di evidenze a sostegno dell’importanza di vaccinarsi, una parte della popolazione si sta affidando alla minoranza costituita principalmente da individui senza alcuna preparazione e una manciata di medici e scienziati che sostengono idee discutibili?
In questo articolo spiegherò come alcuni meccanismi psicologici possano indurre a non credere alle evidenze e a non fidarsi della comunità scientifica. Tratterò in particolare:
- aspetti della comunicazione;
- euristiche di pensiero e bias cognitivi;
- meccanismi di difesa (diniego e negazione) e contagio emotivo;
- effetto Dunning – Kruger.
Fenomeni sviscerati dalla psicologia fin dalle sue origini, che pur non rendendocene conto, utilizziamo quotidianamente per affrontare le nostre giornate. In alcune situazioni, tuttavia, si possono irrigidire e amplificare, diventando l’unica chiave di lettura a disposizione che, anziché facilitarci la vita, può spingerci verso una percezione errata della realtà.
L’obiettivo di questo articolo non vuole essere quello di criticare o far cambiare idea a chi non si affida alla scienza. E’ rivolto principalmente a chi, in più occasioni, ha tentato di confrontarsi con no mask, no vax, terrapiattisti, sostenitori delle scie chimiche, di persone convinte che sia tutta colpa di Bill Gates o della tecnologia 5G, negazionisti del cambiamento climatico e così via, senza ottenere alcun risultato e che si è chiesto “come è possibile?”. In effetti, questa difficoltà nel confronto può far provare un senso di impotenza, rabbia e sconcerto ma è importante capire quali possano essere i meccanismi psicologici che si attivano nel pensiero negazionista. Come diceva Gandhi: “La rabbia e l’intolleranza sono i nemici della corretta comprensione”.
1) INFODEMIA E PROBLEMI DI COMUNICAZIONE
Quando la comunicazione anziché rassicurare, crea sfiducia.
“Il paziente era Mark L., un contadino di oltre 50 anni […] ricoverato per una biopsia prostatica. Mark si trovava in una stanza a due letti di un reparto. Il chirurgo entrò nella stanza e, stando in piedi, in prossimità della porta, cominciò a parlare a Mark e al paziente del letto vicino. Inizialmente, rivolgendosi a quest’ultimo, disse che poteva andare a casa in quanto la sua biopsia prostatica aveva mostrato un’ipertrofia benigna. Quindi rivolgendosi a Mark, senza muoversi dalla sua posizione, disse: “Per quanto la riguarda, anche lei può andare a casa, tuttavia devo darle una cattiva notizia: la biopsia ha evidenziato un cancro della prostata”. Il medico quindi se ne andò senza aggiungere altro.”
Quello riportato è un esempio di cattiva comunicazione tratto dal libro: “La comunicazione della diagnosi in caso di malattie gravi” di Robert Buckman. Come mai inizio questo articolo sul Covid così?
Perché le dimostrazioni relative alla necessità di una buona comunicazione da parte del medico, affinché il paziente si fidi e affidi alle cure (compliance), sono accertate da decenni. Per collaborare con il medico, il paziente deve sentirsi accolto, ascoltato, compreso nelle sue paure ed emozioni in generale, sentire di aver compreso la situazione e, pur non avendone il controllo, attribuire un significato agli eventi e capire se può fare qualcosa per non restare nell’impotenza.
Nella pandemia siamo stati martellati da un senso di incertezza, minaccia, mancanza di controllo e dalla paura della morte nostra e dei nostri cari, senza avere la possibilità di chiedere spiegazioni, affidandoci a internet, alla TV o ai nostri conoscenti. Ci siamo trovati di fronte a un evento imprevedibile, nuovo e, almeno inizialmente, incontrollabile. Il nostro bisogno di risposte, di sapere quello che sta succedendo e succederà, purtroppo, si contrappone con una pandemia imprevedibile, causata da un virus che può mutare le sue caratteristiche anche da un giorno all’altro. La medicina attuale, infatti, è definita evidence-based, si basa sugli eventi che accadono, li studia e in base a questi sviluppa previsioni e considerazioni. Per la natura stessa, mutevole ed imprevedibile del Covid, non è possibile dare risposte certe o fare supposizioni nel lungo periodo: ne conseguono i numerosi e continui cambiamenti nella gestione della pandemia adottati in questi mesi.
Una delle principali conseguenze di questa complessità è stata l’infodemia, definita dall’Enciclopedia Treccani come la “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Se ci pensiamo, in effetti, abbiamo assistito ad un grande caos a livello di media e social network, con bombardamenti quotidiani di centinaia e centinaia di notizie, alcune volte contrastanti tra loro ed estremamente complesse da capire, che richiedevano la conoscenza di concetti di virologia, epidemiologia, e statistica, totalmente fuori dal bagaglio di conoscenza comune. Purtroppo, nel mondo dei media e dei social network si predilige un linguaggio accattivante, che faccia scalpore: la comunicazione medica prudente, fatta di “non so”, “probabilmente”, di analisi statistiche e dati e dell’impossibilità di dare risposte “certe”, è stata percepita come noiosa, ripetitiva e poco rassicurante. In questi contesti mediatici hanno preso sempre più piede, purtroppo, opinionisti, pseudo – guru “urlatori” che esprimendo le proprie teorie con decisione e forza, seppur basandosi poco o nulla su evidenze e prove scientifiche replicabili, hanno avuto notevole visibilità e accoglienza, provocando una perdita di fiducia nei confronti della medicina e incrementando il senso profondo di pericolo e non controllo, soprattutto nelle persone già confuse e spaventate.
Cosa si può fare?
Uno studio del 2021 di APSS Trento, Bidsa Bocconi e Thatmorning, che ha analizzato le preferenze comunicative delle persone sui social network, basandosi su commenti di Twitter e Facebook e articoli sui vaccini, ci dà qualche spunto per come migliorare la comunicazione sul Covid e i vaccini. Dall’analisi è emerso che le persone tendono a preferire le modalità comunicative dei “no vax”, che utilizzano prevalentemente la narrazione e le storie individuali, avendo così molta presa e impatto emotivo sulle persone. Al contrario, i “pro vax”, affidandosi maggiormente alle argomentazioni su dati tecnici e alle evidenze scientifiche, risultando meno incisivi tra il grande pubblico. La comunicazione sui social network e sui media potrebbe quindi essere più efficace se diffondesse meno dati e statistiche, e privilegiasse la narrazione di storie rassicuranti, la condivisione di esperienze positive legate al vaccino o alle cure mediche ricevute.
2) POSSIBILI EURISTICHE DI PENSIERO E BIAS COGNITIVI CORRELATI AL COVID
Le euristiche sono abilità che abbiamo acquisito nel corso dell’evoluzione, utili per la nostra sopravvivenza. Si tratta di intuizioni, scorciatoie del pensiero che, di fronte a informazioni incomplete o situazioni complesse, ci permettono di arrivare velocemente a una soluzione, con il minimo sforzo cognitivo, reperendo, in alcuni casi, informazioni che già possediamo. Sono quasi sempre corrette ma, talvolta, possono portare all’errore. I bias cognitivi sono un sottogruppo di euristiche, per così dire “inefficaci”. Si tratta di valutazioni erronee, basate su dati fallaci o di cui non si è mai fatta esperienza. Nei contesti più semplici e conosciuti, le euristiche possono fornirci un aiuto concreto per decidere in modo rapido ed efficace. Se, al contrario, ci troviamo di fronte ad un sistema più complesso e sconosciuto, bisognerebbe evitarle, optando per un pensiero maggiormente razionale, lento, controllato, consapevole, che richiede, però, un grande dispendio energetico. La pandemia che stiamo vivendo, fa riferimento al secondo scenario, imprevedibile e articolato, in cui è necessario uno sforzo enorme per gestire le emozioni e non cadere nei bias cognitivi. Ecco alcuni esempi di possibili errori di valutazione, che possiamo ritrovare nel contesto del Covid:
- Il bias dell’attenzione selettiva: si tratta della tendenza a notare le informazioni salienti per noi, ignorando il resto. Senza la giusta conoscenza medica potremmo, ad esempio, cercare le informazioni che risuonano di più con i nostri sentimenti, e/o le tesi a conferma del nostro punto di vista, ignorando le informazioni che non riteniamo utili. es. “Sono contrario al GreenPass, quindi la mia attenzione è catturata principalmente da tutte le informazioni in cui esso è ritenuto sbagliato, inutile o non necessario. Le considerazioni a suo favore non mi interessano”.
- Euristica della disponibilità: quali sono le informazioni che ho su un dato elemento? Vi pongo un quesito: “Quanti vegetariani ci sono nel mondo?”. Provate a rispondere, senza cercare su internet. Per rispondere, molto probabilmente farete ricorso all’euristica della disponibilità, ovvero, penserete a quante persone vegetariane conoscete, a quante informazioni avete letto rispetto a questo stile di vita, a quanti negozi e ristoranti vegetariani conoscete e, in base alla vostra esperienza, risponderete. Se ne conoscete tanti, direte che i vegetariani sono un’ampia parte della popolazione. Viceversa, se ne conoscete pochi, direte che sono una categoria rara. Questo bias è molto frequente e comune. Quando dobbiamo valutare la frequenza di una situazione, tendiamo a recuperare mentalmente le informazioni che possono esserci maggiormente utili. Nelle valutazioni relative al Covid, ad esempio, l’euristica della disponibilità ci porta a valutare l’efficacia del vaccino in base a quanti conoscenti hanno avuto effetti collaterali dopo esserselo inoculato (“Due mie amiche sono state malissimo dopo che si sono vaccinate”) o a quante persone hanno avuto il Covid asintomatico (“Ci stanno mentendo sul Covid, perché tutti quelli che conosco l’hanno preso e non hanno avuto niente, è come l’influenza.”).
- Ancoraggio: le prime informazioni hanno maggiore forza rispetto a quelle successive e ci indirizzano maggiormente nelle nostre decisioni. Il rischio di questo meccanismo è di basarsi sulle prime informazioni che riceviamo, come termine di paragone con le altre. Questo effetto può essere molto potente, al punto che può portare a far aderire anche altre informazioni, con quella ancorata. Un esempio potrebbe essere: “I primi vaccini inoculati sono stati quelli di Astrazeneca. Astrazeneca ha provocato tanti effetti collaterali tra cui trombosi e morte. Tutti i vaccini per il Covid hanno effetti collaterali e provocano morte”.
- Bias della negatività: più l’informazione è negativa, meglio la ricordo. Questo bias ci porta a essere colpiti maggiormente dalle informazioni e dagli eventi negativi, ricordandoli più facilmente rispetto a quelli positivi o neutrali. Per questo motivo spesso tendiamo a dare maggior peso ai nostri errori e alle notizie negative rispetto ai nostri successi e agli eventi positivi. Basta pensare alle centinaia e centinaia di informazioni negative che sono circolate rispetto agli effetti collaterali del vaccino, per capire l’impatto sulle persone più propense a questo tipo di bias.
- Illusione della frequenza: se noto una cosa una volta, la noterò più spesso, fino a credere che abbia una frequenza maggiore. Questa illusione ci porta a selezionare parole o informazioni nuove o che ci hanno colpito in un dato momento, tendendo a notare maggiormente la loro ricomparsa e facendoci pensare erroneamente che siano più frequenti. Ad esempio, se compro una macchina blu sarò più stimolato nel vedere altre auto blu e noterò che esistono molte auto blu. Stessa cosa potrebbe accadere se leggo degli articoli contro la campagna vaccinale. Potrei essere colpito maggiormente da notizie simili a quelle lette, pensando che siano più diffuse le informazioni a sfavore, rispetto a quelle a favore.
- Il bias di conferma: è la tendenza a cercare informazioni a conferma delle proprie idee, ignorando potenziali controprove. Senza la giusta conoscenza medica, ad esempio, si potrebbero cercare le informazioni riguardo al Covid su siti poco attendibili, oppure affidandosi a personaggi pubblici che dicono la loro opinione senza la giusta preparazione medica. Se non credo alla pericolosità del Covid, ad esempio, posso ascoltare prevalentemente notizie che negano la sua gravità, paragonandolo all’influenza o arrivare in alcuni casi, addirittura, a credere a teorie alternative come cospirazioni o manovre politiche.
3) NEGAZIONE E CONTAGIO EMOTIVO
Coma abbiamo visto, ci sono numerosi meccanismi che ci portano a possibili errori di valutazione, spinti talvolta dalla ricerca di informazioni che risuonano con i nostri sentimenti. Se associamo questa inclinazione ad altri aspetti tipici del nostro pensiero, come i meccanismi di difesa, il rischio è di essere attirati da informazioni a nostro favore, anche se queste comprendono idee cospirazioniste, complotti, etc.
I meccanismi di difesa sono processi cognitivi che agiscono prevalentemente in modo inconscio e ci proteggono da esperienze di ansia eccessiva. Pur essendo concetti sviluppati da Sigmund Freud e successivamente approfonditi da sua figlia Anna, sono estremamente attuali.
Per capire la negazione e il diniego (un meccanismo più arcaico della negazione), pensiamo a un paziente a cui viene diagnosticata una malattia grave. Questo paziente potrebbe reagire pensando che la notizia non sia reale o ci sia un errore (“Non può essere successo proprio a me”), continuando a comportarsi come se non fosse successo nulla. In pratica, questi meccanismi servono a “tenere fuori la notizia cattiva”, a rifiutare realtà sgradevoli, facendo in modo che non danneggino la prospettiva del futuro. E’ importante sottolineare che si tratta di risposte normali, reattive e transitorie a eventi sconvolgenti. Esistono tuttavia alcune casistiche in cui questi meccanismi, se persistenti, possono compromettere l’esame della realtà ed essere identificati come precursori nelle psicosi, nei traumi gravi (come ad esempio nella violenza domestica, in cui la donna potrebbe negare le aggressioni verbali e fisiche del partner, ridimensionandole, normalizzandole o pensando che il proprio uomo possa cambiare e non ripetere più quei gesti) o possono produrre, anche in individui sani, senza patologie, conseguenze negative, diventando meccanismi disfunzionali anziché protettivi.
In un articolo del 2021 pubblicato su “Evidence-based Psychiatric Care”, la rivista della Società Italiana di Psichiatria, la dottoressa Salone ha approfondito questi concetti, analizzandoli nell’ottica dei social network e del contagio emotivo nell’ambito dell’epidemia da Covid. Per contagio emotivo si intende la reazione automatica e involontaria, per cui le emozioni e i comportamenti sperimentati da un soggetto vengono istintivamente imitati da altri soggetti che sperimentano emozioni e comportamenti simili, senza che ci sia una mediazione cognitiva. Pensiamo, ad esempio, di camminare in mezzo alla strada e di incrociare casualmente lo sguardo di una persona. Se quest’ultima ci sorriderà, molto probabilmente tenderemo anche noi ad abbozzare un sorriso, mentre se la persona ci guarderà male, anche noi potremmo corrugare lo sguardo. Se pensiamo a questo concetto, inserendolo nell’attuale realtà dei social network, possiamo capire la potenza dell’effetto virale con cui si possono influenzare azioni, pensieri ed emozioni. Il contagio emotivo, infatti, è un meccanismo naturale e funzionale all’interno di alcuni contesti come quello familiare e di coppia, ma potrebbe diventare disfunzionale, se non addirittura patologico, soprattutto quando il gruppo si espande a sconosciuti e a persone senza alcun tipo di legame affettivo. Durante la pandemia, come abbiamo visto, l’ansia, la paura e il senso di vulnerabilità si sono molto diffuse. Condividere queste emozioni tramite i social network può avere un effetto virale in cui la diffusione di malessere può coinvolgere persone già fragili, che si trovano in un clima sfavorevole, amplificandone le reazioni emotive negative. Quando il livello di ansia aumenta eccessivamente nelle persone e nei gruppi, altrettanto inconsciamente, si può essere indotti a utilizzare meccanismi di difesa come la negazione, con il rischio di conseguenti comportamenti disadattivi come, ad esempio, la scelta di non adottare le adeguate misure di protezione dato che, una volta negata, la causa dello stress, non rappresenta più un pericolo.
Alla luce di questi aspetti risulta più facile comprendere perché alcuni individui che si sentono sotto minaccia, ansiosi, impotenti e incapaci di controllare le proprie emozioni, possano credere più facilmente a teorie cospirazioniste e complotti per sentirsi così più rassicurati. Anziché basarsi su concetti che “non si possono vedere”, come un virus, e che potrebbero richiedere la modifica dei loro comportamenti, come l’uso dei dispositivi di protezione individuale, non uscire più di casa liberamente, presentare il Green Pass, risulta più facile basarsi su idee più semplici e reperibili facilmente, che negano l’esistenza di una minaccia.
4) EFFETTO DUNNING – KRUGER
Nel 1995, a Pittsburgh, il signor Wheeler McArthur consapevole della presenza di telecamere, rapinò due banche in pieno giorno e a viso scoperto. Quando la sera stessa, i poliziotti lo arrestarono, mostrandogli i filmati che lo inquadravano, la sua reazione fu di stupore, e fissandoli esclamò: “Ma io indossavo il succo!”
Wheeler McArthur era un “criminale sano”, senza problemi psichiatrici e che non faceva uso di droghe. Tuttavia, era convinto che cospargendosi di succo di limone sarebbe diventato invisibile alle telecamere. Come è possibile? Pare che qualche tempo prima un amico gli avesse mostrato un trucchetto: scrivendo su un foglio di carta con del limone, la scritta che sembrava invisibile diventava leggibile solo avvicinandola ad una fonte di calore. Il signor Wheeler si era convinto che cospargendosi di limone e stando lontano dalle fonti di calore, sarebbe diventato invisibile. Addirittura, prima di effettuare il colpo, aveva tentato di verificare la sua teoria, cospargendosi il volto di limone e scattandosi una fotografia. Lo sfortunato signor Wheeler deve aver sbagliato inquadratura e per questo, non vedendosi in fotografia, ha avuto la “prova” che cercava dell’efficacia del succo di limone per l’invisibilità. Quel che è successo poi, lo sapete già.
Questo fatto di cronaca incuriosì molto due psicologi, David Dunning e Justin Kruger, che iniziarono a indagare il rapporto tra fiducia e comprensione. In un loro esperimento, chiesero a un gruppo di persone di eseguire dei test di logica e grammatica e successivamente di compilare un test di autovalutazione della propria performance. I risultati furono sorprendenti:
- tutti i partecipanti sopravvalutarono la propria performance;
- le persone più incompetenti, però, si erano valutate in modo superiore rispetto a tutti gli altri, pensando di aver avuto risultati addirittura migliori rispetto alla media;
- le persone che avevano ottenuto i risultati migliori ai test, al contrario, si erano sottovalutate più degli altri, rispetto al loro effettivo risultato.
Quando i ricercatori mostrarono i risultati dei test ai partecipanti, chiedendo loro di fornire una valutazione ad alcuni questionari, emersero altri curiosi risultati:
- chi aveva avuto risultati buoni al test era in grado di valutare anche i test degli altri compagni;
- chi aveva avuto risultati scarsi al test non era in grado di valutare le abilità degli altri e, addirittura, aveva sopravvalutato il proprio risultato, mostrando come l’osservazione e il confronto con il punto di vista altrui non gli avesse fatto acquisire alcun tipo di consapevolezza nuova.
Cosa c’entra questo con il Covid?
Nei mass-media, ed in particolare nei social network, dove è più facile un confronto diretto fra utenti, è possibile notare come alcune persone, senza alcun tipo di formazione medica, credano di avere la conoscenza in tasca e di essere molto più competenti di esperti che vengono addirittura additati come ignoranti (se non peggio), grazie alla lettura di qualche informazione o post su virus, vaccini, etc, proveniente da fonti inattendibili. Inoltre, ogni tentativo di confronto e di scambio di punti di vista, spesso, non fa ottenere alcun tipo di risultato. Ecco, in questi casi, ci troviamo di fronte ad un tipico esempio dell’effetto Dunning-Kruger.
Per concludere, possiamo ora capire quali e quanti meccanismi inconsci possano scattare normalmente a livello di individuo e di società, e quanto questi possano essere rimarcati ed amplificati in un contesto di disagio come può esserlo una pandemia. La conoscenza di tali aspetti risulta fondamentale per dare una chiave di lettura più oggettiva possibile dell’evento storico che quotidianamente viviamo, degli errori commessi dalla “disinformazione” e delle motivazioni che possono spingere alcune persone ad accanirsi tanto su idee senza fondamento scientifico, se non talvolta bizzarre.
Elisabetta Fanti
Psicologa Psicoterapeuta
Per approfondire:
- Miller BL. Science Denial and COVID Conspiracy Theories: Potential Neurological Mechanisms and Possible Responses. JAMA. 2020;324(22):2255–2256.
- Salone A, Ciavoni L, Di Muzio I, et al. Denial as a psychological process underlying non-compliance with public health recommendations for the prevention of COVID-19. Evidence-based Psychiatric Care 2021;7:134-140.
- Robert Buckman. La comunicazione della diagnosi in caso di malattia grave. Raffaello Cortina Editore. 2008
- Valentina d’Urso, Fiorella Giusberti. Esperimenti di psicologia generale. Seconda edizione. Zanichelli. 2010